Una bambina con la matita



di Diego Julio Vinicio Melendez


Un bel mattino, tornato da pochi giorni nel suo paese natio, Onorio aveva accettato l’invito a recarsi in visita ad alcuni familiari che negli ultimi anni non aveva avuto modo di incontrare. Risiedevano non lontano dal centro della ridente cittadina ma, com’era loro abitudine di domenica, quando il tempo lo permetteva, erano usciti a prender l’aria nell’ampio giardino dirimpetto alla loro abitazione.

Il cielo era terso e luminoso, le siepi verdeggianti sotto le fronde ombrose degli alberi, la ghiaia del vialetto scricchiolava ad ogni suo passo, e tutto contribuiva a dare a quel luogo un’atmosfera di calma e di raccoglimento. Per un attimo Onorio tornò con la mente a quando, da bambino, scorrazzava con i compagni di giochi, appena ne aveva l’occasione, in un parco del tutto simile a quello. Quanto grande e ancora tutto da esplorare gli appariva, a quell’epoca, il mondo!

Notò subito la bimba, in piedi accanto a una panchina, col suo vestitino chiaro. Stava china su alcuni fogli, e si accorse, avvicinandosi, che teneva in mano una matita che sembrava troppo grossa per la sua piccola mano. Sentendolo arrivare si voltò e gli sorrise, ma non disse una parola, e un secondo dopo era già tornata a occuparsi del suo disegno.

Onorio si guardò intorno; la madre della piccola non era nei paraggi, forse si era allontanata un momento, oppure era dovuta rientrare in casa. Suo fratello, invece, era lì a poca distanza; accomodato su una seggiola da giardino, teneva un libro aperto tra le mani, eppure sembrava guardare lontano, assorto nei suoi pensieri. Gli parve che avesse qualche capello bianco in più dell’ultima volta che si erano incontrati.

Era ormai arrivato a un passo dalla bambina, e distrattamente gettò uno sguardo al foglio sul quale stava disegnando; sulla carta c’erano pochi segni, che ebbe però difficoltà a mettere a fuoco; inforcò gli occhiali – decisamente il tempo passava anche per lui – ma quando fissò di nuovo il disegno non riuscì a credere ai propri occhi: le linee che aveva intravisto all’inizio erano essenziali, decise, non avevano nulla di tremolante o d’incerto come sarebbe stato naturale attendersi dalla mano di una bambina di quell’età.

Poi, sempre più meravigliato, si riconobbe: una linea curva era la sua pelata, un’altra, più spigolosa, la spalla. Come in un lampo, ripensò a quando, qualche anno prima, l’aveva tenuta in braccio, appena nata. Com’era possibile che adesso stesse disegnando proprio lui, lo zio, pur non avendolo più rivisto da allora? Doveva avere le traveggole, e tuttavia quel disegno, se non si poteva dire fosse proprio un ritratto, sembrava cogliere, di lui, qualcosa d’interiore, di profondo, per quanto indefinibile.

Sconcertato, si rivolse al fratello, ma nel chiamarlo non gli venne in mente il nome: «Ehi… Picasso…» esclamò, ironico «hai visto cosa sta facendo la piccola?»

Si pentì all’istante di quella battuta, che avrebbe potuto esser ritenuta indelicata: da giovane, il fratello dipingeva, aveva persino esposto in qualche mostra, ma col passare degli anni aveva messo da parte le sue ambizioni artistiche, per dedicare le sue energie alla professione e alla famiglia. L’interessato però non vi diede gran peso, si voltò a guardare verso la bambina, sorrise con una piega un po’ mesta e accennò un vago saluto; al tempo stesso, con lo sguardo e una leggera alzata di spalle sembrò intendesse dire: «Lo so, lo so benissimo, ma che ci posso fare?»

Colto da un impulso improvviso, prima di rendersene conto, Onorio piegò le ginocchia fino a trovarsi quasi all’altezza della piccola, toccò con una mano la sua spalla minuta e quando lei si voltò verso di lui, bellissima, la abbracciò forte forte. La bimba lo lasciò fare, non sembrava per niente stupita, né disturbata, ma lui capì, dall’espressione seria e intenta, che nella sua mente c’era solo il disegno, che voleva più di ogni altra cosa completarlo. La lasciò andare e lei gli sorrise, poi tornò a concentrarsi sul foglio.

Onorio si rialzò in piedi, gli sfuggì un sospiro. Che donna formidabile sarebbe diventata! – pensò, con risoluta certezza – Bisognava soltanto lasciarle il tempo di crescere.

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