LombardoRadice·L • infinito §5 • Le antinomie. La crisi dei fondamenti

Parte quinta. Le antinomie. La crisi dei fondamenti



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5. Parte quinta. Le antinomie. La crisi dei fondamenti [pp. 83-95]
5.1. Russell scrive a Frege: «Ho incontrato una difficoltà» [pp. 84-87]
[5.1.1] ‹Antinomia di Russell
5.2. Le «classi totali» sono inconsistenti [pp. 88-91]
[5.2.1] ‹Antinomia di Cantor o della «classe totale»
[5.2.2] ‹Antinomia di Burali-Forti
5.3. La Biblioteca di Babele e il paradosso di Richard [pp. 92-95]
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TERMINI-CHIAVE
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• antinomia
• aritmetica
• attributo (attributi = predicati?)
• cardinale (numeri cardinali transfiniti)
• classe (una classe di tutte le classi)
• collezione
• combinatorio (analisi combinatoria)
• conoscenza (conoscenza umana-relativa, conoscenza divina-assoluta)
• contraddizione
• empirista
• eterologico (“eterologico”)
• insieme (un insieme)
• logistica
• ordinale (numeri ordinali transfiniti)
• paradosso (paradosso di Richard)
• pensabilità
• pensatore (libero pensatore)
• predicato
• senso
• significato (significati)
• successione (successioni bene ordinate)
• ultratransfinito (totalità ultratransfinite)
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(ª) espressione non esplicitamente contenuta nel testo.


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AUTORI E OPERE, PERSONAGGI, STUDIOSI
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• Beth (E.W. Beth)
• Bolzano (‹Paradossi dell’infinito›)
• Borel (Emile Borel)
• Burali-Forti (Cesareª Burali-Forti, 1861-1931)
• Frege (Gottlob Frege: ‹Fondamenti dell’aritmetica›)
• Kant
• Poincaré (Henri Poincaré)
• Richard (Jules Antoineª Richard, paradosso di Richard)
• Russell (Bertrand Russell, 1872-1970)
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(ª) riferimento o dettaglio non esplicitato nel testo.
(ⁿ) menzionato nelle note.


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COMMENTO
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Nel 1902 Russell scopre che la possibilità di definire la classe di tutte le classi che non appartengono a se stesse come elemento conduce a un’antinomia insanabile, che verrà denominata ‹Antinomia di Russell› (la classe in questione appartiene a se stessa se e solo se non appartiene a se stessa, e viceversa).

Tuttavia, già “a partire dal 1895” (Beth), Cantor si era reso conto di un’insanabile contraddizione nella propria costruzione teorica dei numeri cardinali transfiniti: definendo la ‹classe totale›, A, come l’insieme di tutti gli insiemi, si trova che P(A) è un sottoinsieme di A (poiché ogni singola parte di A è a sua volta un elemento di A), ma allora A deve avere almeno la stessa potenza del suo sottoinsieme P(A), mentre, per il teorema generale, P(A) dovrebbe avere potenza superiore ad A. Questa è detta ‹Antinomia di Cantor›.

Analoga antinomia riguarda però anche gli ordinali transfiniti: definendo ‹l’insieme di tutti gli ordinali›, la classe associata O risulta essere un “insieme bene ordinato”, che dev’essere possibile “chiudere” con aggiunta di O + 1; ma essendo anche questo un ordinale, deve far parte di O, e dunque non può essere maggiore di O. Questa è detta ‹Antinomia di Burali-Forti›.

Esiste infine il ‹paradosso di Richard›: in ogni lingua (scritta) le possibili combinazioni di caratteri sono limitate; esiste dunque un numero intero massimo m che si può definire con un certo numero – diciamo n – di parole; ma allora, definendo m’ = m + 1, si può formulare la frase “m’ è il numero intero minimo che non si può definire con n parole”; se n = 14, che nel caso dell’italiano è il numero di parole della frase formulata, l’affermazione risulta autocontraddittoria.


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ESTRATTI
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•[5·0·0]• extra
La logistica non è più sterile, ha generato le contraddizioni.
Henri Poincaré
All earthly knowledge finally explored
Man feels himself from doubt and dogma free.
There are more things in Heaven, though, my lord
Then are dreamed of in your philosophy [*].
Bertrand Russell

— § —

•[5·1·1·2]• extra
Chiamiamo ‹eterologico› l’aggettivo che esprime la proprietà di un attributo di non convenire a se stesso. Poniamo la domanda: “eterologico” è eterologico, o no? Risposte:
1) ‹Se “eterologico” è eterologico, allora non è eterologico› (perché conviene a se stesso).
2) ‹Se “eterologico” non è eterologico, allora è eterologico› (perché non conviene a se stesso).

Il circolo si chiude su se stesso, viziosamente:

Se sì, allora no; se no, allora sì›.

— § —

•[5·2·1·7]• extra
Infatti, l’insieme delle parti (sottoinsiemi) di A, che abbiamo chiamato P(A), dovrebbe avere da un lato ‹potenza superiore› ad A, per quanto dimostrato in generale. Ma A, essendo l’insieme di ‹tutti› gli insiemi, contiene P(A) come suo sottoinsieme, quindi P(A) dovrebbe avere potenza ‹non superiore› ad A. Ecco la Prima Antinomia, non già della «Ragion pura» di Kant, ma degli «Insiemi ingenui» di Cantor.

— § —

•[5·3·0]• extra
«[…] la Biblioteca è totale […] i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni [di un dato numero finito] dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue» (Jorge Luis Borges, ‹Finzioni›).

— § —

•[5·3·12]• extra
Dal calcolo fatto, sembra corretto dedurre che:
Tutti i significati possibili sono infiniti sì ma numerabili›, o se vogliamo, più pomposamente e più poeticamente:
È possibile solo un’infinità numerabile di pensieri aventi un senso preciso›.

Questa la nostra lunga e onesta premessa al «paradosso di Richard», che passiamo a esporre con le parole di un grande matematico francese del primo Novecento, empirista in filosofia, Emile Borel. Naturalmente, Borel parte dalla lingua francese, ma si può fare lo stesso ragionamento con la lingua italiana.
«Il numero delle parole nella lingua francese essendo limitato, il numero delle frasi di dieci parole è esso stesso limitato. Fra tutte le frasi possibili ottenute combinando in tutte le maniere possibili dieci parole francesi, la maggioranza non ha alcun senso; fra quelle che hanno un senso, solo una debole parte definisce un numero intero determinato. C’è dunque un numero limitato di numeri interi così definiti; tra di essi, ci sarà bene un massimo».

Aggiungo uno, e ottengo il ‹numero minimo tra quelli non definibili con dieci parole› (al più) ‹della lingua francese›. Chiamiamolo x. E diciamo ora la frase sconvolgente: «‹Soit x le nombre entier minimum indéfinissable par dix mots›».

Perché sconvolgente?

Ma contate, vi prego, il numero delle parole! Sono dieci. ‹Il più piccolo numero non definibile con dieci parole è definibile con dieci parole›.

E siamo arrivati a una contraddizione. Risulterà chiaro da una successiva «spiegazione» perché sia lecito definire il «paradosso di Richard» anche «paradosso della Biblioteca di Babele».


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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•[5·0·0]• Nella 1ª citazione: «La logistica non è più sterile […]»: la “logistica” in italiano (ma anche in francese) sarebbe tutt’altra cosa; immaginiamo Poincaré intendesse in realtà riferirsi alla “logica”, ma forse si tratta di un “gioco di parole” (accostati, “logistique” e “stérile” richiamerebbero pratiche e attrezzature sanitarie, come una sala operatoria); riportiamo però i primi 3 cpvv. delle “Conclusioni” (da Henri Poincaré, ‹La science et l’hypothèse - La valeur de la science - Science et méthode›), brano dal quale è tratta la citazione riportata da LR:
Conclusions

Une démonstration vraiment fondée sur les principes de la Logique Analytique se composera d’une suite de propositions; les unes, qui serviront de prémisses, seront des identités ou des définitions ; les autres se déduiront des premières de proche en proche; mais bien que le lien entre chaque proposition et la suivante s’aperçoive immédiatement, on ne verra pas du premier coup comment on a pu passer de la première à la dernière, que l’on pourra être tenté de regarder comme une vérité nouvelle. Mais si l’on remplace successivement les diverses expressions qui y figurent par leur définition et si l’on poursuit cette opération aussi loin qu’on le peut, il ne restera plus à la fin que des identités, de sorte que tout se réduira à une immense tautologie. La Logique reste donc stérile, à moins d’être fécondée par l’intuition.
Voilà ce que j’ai écrit autrefois, les logisticiens professent le contraire et croient l’avoir prouvé en démontrant effectivement des vérités nouvelles. Par quel mécanisme?
Pourquoi, en appliquant à leurs raisonnements le procédé que je viens de décrire, c’est-à-dire en remplaçant les termes définis par leurs définitions, ne les voit-on pas se fondre en identités comme les raisonnements ordinaires? C’est que ce procédé ne leur est pas applicable. Et pourquoi? parce que leurs définitions sont non prédicatives et présentent cette sorte de cercle vicieux caché que j’ai signalé plus haut; les définitions non prédicatives ne peuvent pas être substituées au terme défini. Dans ces conditions, ‹la Logistique n’est plus stérile, elle engendre l’antinomie›.
L’evidenziazione in corsivo è nell’originale, e ciascuno potrà farsi la propria opinione; non è neppure chiaro perché “Logistique” sia scritto con l’iniziale maiuscola; ma d’altra parte, alla fine del 1° cpv. anche “Logique” è in maiuscolo. Anche nel seguito delle sue “Conclusioni”, Poincaré utilizza diverse volte il termine “logistique” (in minuscolo: “logistique russelienne”, “logistique hilbertienne”), e il tono non pare affatto quello di uno scherzo.
•[ivi]• Sempre nella 1ª citazione: «Henri Poincarè [sic!]»: la ‘e’ finale con accento grave in francese è di fatto inesistente, e anche nei nomi propri non risulta; deve infatti essere “Poincaré”; corretto.
◊ Jules Henri Poincaré (1854-1912), matematico e fisico teorico francese; vedi wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Henri_Poincaré).
•[ivi]• Nella 2ª citazione: «[…] Man feels himself […] Then are dreamed of in your philosophy», tradotto in italiano come «[…] mi sento […] di quante sa la tua filosofia» non sappiamo da dove LR abbia preso la traduzione, ma alla lettera sarebbe «…L’uomo si sente… di quante se ne sognino [ne siano sognate] nella tua filosofia».

•[5·1·1·2]• Nel testo originale: «Poniamo la domanda: eterologico [sic!] è eterologico, o no?», il primo “eterologico”, che si riferisce al significante e non al significato, dovrebbe essere evidenziato in corsivo come nel periodo precedente, ma nei due punti successivi (1 e 2), dove “eterologico” ricorre con entrambe le valenze, le frasi intere sono evidenziate in corsivo; modifichiamo allora evidenziando “eterologico” tra virgolette inglesi laddove si riferisce al significante (3 occorrenze).
NOTA: forse la nostra pedanteria dissolve l’alone di ‹nonsense› che l’autore intendeva caratterizzasse la sua versione dell’antinomia, in tal caso ce ne scusiamo coi lettori.

•[5·2·1·7]• «Ma A, essendo l’insieme di ‹tutti› gli insiemi, contiene P(A) come suo sottoinsieme […]»: infatti P(A) è l’insieme delle parti di A, ciascuna delle quali è a sua volta un insieme di elementi di A; e dunque P(A) è sia un sottoinsieme di A, sia a sua volta un elemento di A.
NOTA: ma fra le “parti” di A, vi è anche la “parte totale” (nessun elemento escluso), coincidente con lo stesso A? In questo caso avremmo non solo A ∈ A, ma anche A ∈ P(A) ∈ A, e da questa relazione dovrebbe allora essere possibile dimostrare che anche P(A) ∈ P(A); come se non bastasse tutte le relazioni precedenti dovrebbero valere non solo per P(A), ma anche per P(P(A)), per P(P(P(A))), e così via, fino all’infinito…

•[5·3·0]• Nel titolo: «La biblioteca di Babele e il paradosso di Richard»; questo paradosso venne proposto nel 1905 (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Richard).
◊ Jules Antoine Richard (1862-1956), matematico francese; per i pochi dettagli biografici vedi wikipedia in francese: https://fr.wikipedia.org/wiki/Jules_Richard_(mathématicien).
•[ivi]• Nella citazione: «[…] tutte le possibili combinazioni […] dei venticinque simboli ortografici […]», naturalmente, la madre di tutte le finzioni è che tutte le opere menzionate possano essere scritte utilizzando un repertorio di soli 25 caratteri; il che – come ben sa chi si sia occupato ad esempio di lingue orientali – non è affatto vero. La varietà delle scritture esistenti ed esistite in passato è straripante, ed anche attualmente esistono scritture che – come il cinese – richiedono decine di migliaia di caratteri. Anche volendosi limitare alle sole scritture alfabetiche, ciascuna lingua utilizza propri segni diacritici che fanno lievitare incredibilmente la varietà dei caratteri utilizzati. E questo senza considerare le cifre, i simboli matematici, quelli musicali, quelli tecnici ecc.

•[5·3·12]• «Tutti i significati possibili […] pensieri aventi un senso preciso»: ancora una volta significato e senso sono usati come fossero sinonimi, e come se avessero un contenuto univoco, oggettivo. Ma la stessa frase, la stessa le stringa di lettere, può avere un senso per me e un senso completamente diverso per un altro lettore, in dipendenza delle diverse esperienze (non solo di lettura) precedenti. Il significato – quello che viene descritto nei dizionari – è già più stabile, ma anche lì intervengono sfumature, associazioni d’idee, ecc.
•[ivi]• «È possibile solo un’infinità numerabile di pensieri aventi un senso preciso»: affermazione che presuppone che i “pensieri aventi un senso preciso” siano tutti esprimibili con i 25 simboli ortografici di cui sopra. Ma è un’ipotesi che sembra accettabile solo nel contesto di una concezione molto ingenua della linguistica. E prevede, tra l’altro, che il neonato e il bambino fino all’età in cui sarà capace di articolare le parole non facciano “pensieri aventi un senso preciso”; e lo stesso dicasi per i sogni della notte, e per tutte quelle forme di espressione non verbale – ad esempio le arti figurative – che non possiamo non considerare pensiero.

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[] Lucio Lombardo Radice, ‹L’infinito›, Editori Riuniti (1981), 2006.
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