LombardoRadice·L • infinito §4 • Georg Cantor scopre… il transfinito

Parte quarta. Georg Cantor scopre, misura e classifica il transfinito



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4. Parte quarta. Georg Cantor scopre, misura e classifica il transfinito [pp. 49-82]
4.1. I numeri cardinali infiniti [pp. 50 59]
4.2. L’insieme di tutti i numeri naturali è solo l’infinito attuale più piccolo [pp. 60-67]
4.3. Una prima scala di infiniti di potenza via via crescente [pp. 68-71]
4.4. Una seconda scala infinita di infiniti: gli ordinali transfiniti [pp. 72-79]
4.5. Critica della critica della ragion pura [pp. 80-82]
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TERMINI-CHIAVE
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• animaⁿ (Kant)
• antinomia (antinomie)
• antitesi (v. “tesi”)
• arbitrio (libero arbitrio)ⁿ
• assoluto (l’assoluto, infinito assolutoⁿ)
• biunivoco (corrispondenza biunivoca)
• cantoriano (matematica cantoriana, matematiche non cantoriane, concetto cantoriano)
• caratteristica (funzione caratteristica)
• cardinale (numero cardinale, numeri cardinali infiniti)
• cardinalità (=potenza?)
• coordinata (coordinate)
• determinismoⁿ
• dimensione
• dimostrazione
• Dioⁿ (Kant)
• empirismo
• equipotenza
• equivalenza
• euclideo (geometria euclidea, geometrie non euclidee)
• geometria (geometrie non euclidee)
• Greci (popolo)
• identico
• infinito (infinito potenziale, infinito attuale, infinito intermedio, infinito assolutoⁿ, sistema infinito)
• insieme (equipotenza di due insiemi)
• irrazionale (numero irrazionale)
• limite (ω, elemento-limite)
• linguaggio (linguaggio corrente, linguaggio tecnico)
• logica
• matematica
• negazione (negazione della ipotesi del continuo, negazione del postulato delle parallele)
• numerabile (potenza minima dei transfiniti)
• numerazione (numerazione decimale, numerazione binaria)
• ordinale (ordinali finiti, ordinali transfiniti)
• ordinamento (diversi ordinamenti, buon ordinamento)
• paradosso (paradossi)
• pensiero (pensiero matematico, pensiero umano)
• potenza (sinonimo di “numero cardinale” o “cardinalità”, insieme potenza)
• precedente (v. successore)
• quadrato (numeri quadrati)
• razionale (numero razionale)
• razionalismo
• scala (scala dei transfiniti)
• segmento
• significato (significati)
• similitudine (tra insiemi totalmente ordinati equipotenti)
• sintesi
• sottoinsieme
• successione
• successore (v. precedente)
• tesi (v. “antitesi”)
• tipo (tipo ordinale)
• transfinito
• trascendentale (filosofia trascendentale critica, idee trascendentali)
• tratto (tratto iniziale
• uguale
• universoⁿ (Kant)
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(ª) espressione non esplicitamente contenuta nel testo.
(ⁿ) termine o espressione menzionata nelle note.


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AUTORI E OPERE, PERSONAGGI, STUDIOSI
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• Achille (nel paradosso di Zenone)
• Cantor (Georg Cantor)
• Cohen (Paul Cohen)
• Dedekind (Richard Dedekind, 1831-1916: ‹Essenza e significato dei numeri›)
• Eneström (Gustav Eneström)
• Enriques (Federigo Enriques, 1871-1946, geometra e filosofo italiano)
• Euclide (‹Elementi›ª)
• Galilei (Galileo Galilei)
• Giacobbe (personaggio biblico, scala di Giacobbe)
• Kant (Immanuel Kant, 1724-1804)
• Russell (Bertrand Russell: ‹Princìpi della matematica›)
• Saccheri (Girolamo Saccheri, 1667-1733, gesuita e matematicoª italiano)
• Sierpinski (matematico polacco)
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(ª) riferimento o dettaglio non esplicitato nel testo.
(ⁿ) menzionato nelle note.


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COMMENTO
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Cantor scopre e dimostra che (1) tutti gli insiemi numerabili sono equipotenti, e dunque esiste un unico numero cardinale “infinito” corrispondente al numerabile; (2) il continuo ha una potenza superiore al numerabile; (3) si può costruire una “scala” di potenze indefinitamente crescenti (per le quali conia il termine di “transfinito”) a partire dal livello più basso che è il numerabile.

La nozione intuitiva di uguaglianza (in numero) come corrispondenza biunivoca tra elementi di 2 insiemi può essere estesa a insiemi infiniti, ma obbliga ad abbandonare la convinzione che una parte non possa essere uguale (in numero) al tutto (esempio: i soli numeri pari sono tanti quanti gli interi); la proprietà di poter essere equipotente ad una propria parte verrà anzi assunta da Dedekind come definizione di insieme infinito.

Come già rilevato per il numerabile, anche tutti gli insiemi caratterizzati dal “continuo” risultano equipotenti, dunque esiste un unico numero cardinale “infinito” corrispondente al continuo (in particolare: tutti i punti dello spazio infinito sono tanti quanti quelli di un segmento piccolo a piacere); partendo da un qualsiasi insieme infinito, si può sempre ottenere un insieme infinito di potenza superiore considerando l’insieme delle “parti” del primo (ad esempio: il continuo è equipotente alle “parti” del numerabile). Si ottiene in tal modo una 1ª scala di (numeri cardinali) infiniti di potenze indefinitamente crescenti (transfinite).

Ipotesi (generalizzata) del continuo: tra una potenza e la successiva non esistono potenze intermedie (in particolare: non esistono potenze intermedie tra numerabile e continuo); è come il 5° postulato di Euclide, si possono costruire una matematica cantoriana (in cui l’ipotesi vale), e più matematiche non-cantoriane (per le quali l’ipotesi non vale).

Passando dai numeri cardinali a quelli ordinali, si può costruire una 2ª scala di infiniti di potenze indefinitamente crescenti (transfinite), ma a ciascun cardinale transfinito (della 1ª scala) corrispondono infiniti ordinali (sempre transfiniti, della 2ª scala), raggruppabili in una “classe” (Cantor). Gli ordinali corrispondenti agli interi naturali possono essere completati aggiungendo il “limite” ω (che è successivo a tutti gli altri ma non è il successore di nessuno di essi), poi ad ω si può far seguire ω + 1, ω + 2, ecc. (che corrisponderebbero a tutti i “buoni ordinamenti” di N?), e questi nuovi ordinali possono essere seguiti da ω1, poi ω1 + 1, e così via. Coincideranno queste 2 scale? Anche in questo caso, è come col 5° postulato di Euclide (si può costruire una matematica in cui coincidono, e un’altra in cui non coincidono).

Il concetto cantoriano di transfinito ha l’effetto di dissolvere la 1ª antinomia di Kant (‹Critica della ragion pura›), relativa all’origine dell’Universo, antinomia che si rivela fondata sul preconcetto di un “infinito attuale assoluto”; anche la 2ª antinomia, relativa al problema della composizione del continuo, finisce per risolversi (Russell, ‹Princìpi della matematica›).



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ESTRATTI
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[4·0·0]
Si presenta spesso il caso che vengano confusi tra di loro […] i concetti di ‹infinito potenziale› e di ‹infinito attuale›, malgrado la loro differenza essenziale. […] Il primo denota una grandezza variabile finita, che ‹cresce› al di là di ogni limite finito; il secondo ha come suo significato un quanto ‹costante›, ‹fisso in sé›, tuttavia posto al di là di ogni grandezza finita.

Avviene un’altra frequente confusione con lo scambio tra le due forme dell’infinito ‹attuale›, e precisamente quando si mettono insieme il ‹Transfinito› e l’‹Assoluto›, mentre questi due concetti sono rigorosamente separati, in quanto il primo è relativo a un ‹infinito› [‹attuale›], sì, ma ‹ancora accrescibile›, il secondo [a un infinito] non ‹accrescibile› e pertanto ‹non determinabile› matematicamente.
Georg Cantor


— § —

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E allora, dove sta la grande scoperta di Georg Cantor?

Sta in questo: che Cantor ebbe l’ardire intellettuale di applicare la definizione infantile di uguaglianza del numero cardinale di due insiemi anche al caso di insiemi infiniti. «Ardire intellettuale» ci sembra l’espressione giusta; la giustificheremo subito, portando l’esempio di due apparenti contraddizioni di fronte alle quali Cantor non si sgomenta. Comprende che si tratta di fenomeni «al di là del credibile» ma non assurdi, paradossi, non antinomie (‹paradosso›, dal greco ‹parádoxos›, significa “contrario alla comune opinione”; ‹antinomia›, un’altra parola di origine greca, significa “contro la legge”, “contraddizione”).

1) ‹Primo fatto incredibile: una parte può essere equivalente al tutto›. Georg Cantor ebbe l’ardire che duecentocinquant’anni prima era mancato a Galileo Galilei.

«Il tutto è maggiore della parte» e quindi: «Il tutto non può essere ‹uguale› a una sua parte». Queste affermazioni appaiono della più chiara evidenza; di qui i paradossi, le assurdità inspiegabili, di cui si è parlato nelle pagine precedenti. Ma proviamo a domandarci cosa significa l’aggettivo ‹uguale›. Normalmente si usa ‹uguale› con lo stesso significato di ‹identico›. Ma, in verità, quando si dice che una cosa è uguale a un’altra si sottintende la domanda: «uguale rispetto a che cosa?». E le risposte possono essere: rispetto alla forma, al colore, al numero delle parti di cui sono composte, ecc.

Tenendo presente questo, la contraddizione che fermò Galilei si risolve facilmente. Tutto sta nel fatto che lo stesso aggettivo, ‹uguale›, viene usato con due significati diversi.

Primo significato› (Aristotele): la parte non è mai uguale-identica al tutto che la contiene, appunto, come parte, e che ha perciò qualche elemento che nella parte non sta.

Secondo significato› (Cantor): la parte può però essere uguale per numero al tutto. Tanti sono i numeri quanti i quadrati loro, che pure sono «meno» dei numeri, perché ci sono numeri non quadrati.

[Fig·4·1·2]
[Fig. 4·1·2] — «Un oggetto non svolge mai lo stesso ruolo del suo nome e della sua immagine».
Il pittore belga Renè Magritte dice una battuta che sembra assurda ma è vera: un cavallo
non› è la sua immagine.

La difficoltà che il genio di Galilei scoprì, ma non superò, deriva perciò dall’impiego del termine ‹uguale› in due sensi differenti. Usiamo allora aggettivi diversi per i due significati diversi: e siano ‹identico›, ed ‹equipotente›. Allora tutto va perfettamente a posto, la contraddizione scompare; il fatto incredibile si trasforma in un fatto normale:
Nel caso di un insieme infinito, può accadere che l’intero insieme e una sua parte, certamente non identici, siano però equipotenti›, abbiano la stessa ‹potenza› (è sinonimo di numero cardinale o “cardinalità”).

[4·1·11]
La incredibilità, a dir il vero, dipende non soltanto dall’equivoco linguistico, ma anche dal fatto che il fenomeno enunciato in (1) non si verifica mai nel caso di un insieme finito e di una sua parte. Ho 4 caramelle per 5 bambini: se pretendo di riuscire a dare una caramella a ogni bambino sono matto, la cosa è assurda. Quando consideriamo contemporaneamente insiemi finiti e infiniti, la equipotenza di un insieme con una sua parte propria non è più assurda: è, invece, una caratteristica specifica degli insiemi infiniti.

«Definizione. Un sistema S si chiama ‹infinito›, se è equipotente a una sua parte propria; nel caso opposto si chiama ‹finito›». Così ha inizio il quinto paragrafo, ‹Il finito e l’infinito›, di un famoso libretto di Richard Dedekind (1831-1916) che il geometra e filosofo italiano Federigo Enriques fece tradurre con il titolo ‹Essenza e significato dei numeri›. Con questa sua famosa definizione, Dedekind capovolse un modo di pensare millenario. Si era sempre definito l’infinito a partire dal finito, appunto come non-finito; ora, invece, è il finito che diventa il non-infinito.

2) ‹Secondo fatto incredibile: i punti dello spazio sono tanti quanti quelli di un segmento piccolo a piacere›.

Georg Cantor fu così fortemente impressionato da questa ‹sua› scoperta da scrivere a Dedekind, comunicandogliela: «Lo vedo, ma non lo credo!». La ragione mi dice di sì, ma il fatto mi appare incredibile! La scoperta sconvolgente consisteva nel dimostrare che un quadrato, e così pure un cubo, ha tanti punti quanti il suo lato.

a) ‹Un quadrato Q di lato uno› (una unità di misura, non importa quale) ‹ha tanti punti quanto il suo lato›.

[Fig·4·1·3a]
[Fig. 4·1·3a] — Il linguaggio degli scacchi: Re nero in D4 [sic!].

[Fig·4·1·3b]

[Fig. 4·1·3b] — In basso: metodo delle coordinate.
Una coppia ordinata di numeri basta a individuare un punto in un piano.

[4·1·16]
Possiamo fissare un punto P del quadrato assegnando le sue distanze x dal lato verticale, y dal lato orizzontale (cioè le sue “coordinate”). È la tecnica che utilizziamo quando cerchiamo sulle ‹Pagine gialle› la strada Tal dei tali che sta sulla tavola tot nel quadratino A-5, o per trovare la cima della montagna 10,5-4,8 su di una carta topografica. È, in definitiva, la tecnica dei meridiani e dei paralleli. Nel nostro caso, x e y sono due numeri compresi tra 0 e 1. I quattro vertici del quadrato hanno coordinate (girando nel senso delle lancette dell’orologio a partire dal vertice a sinistra in basso):

(0,0) ; (0,1) ; (1,1) ; (1,0) ;

x e y sono numeri che esprimono ‹misure›, e precisamente misure rispetto al lato preso come «metro», di segmenti non maggiori di esso; sono allora numeri compresi tra 0 e 1. I numeri che esprimono misure, quelli “razionali” e quelli non razionali (irrazionali) vengono chiamati nel loro insieme “numeri reali”. Perciò, i numeri che adesso ci interessano, misure di segmenti non superiori al lato del quadrato Q preso come metro, sono i numeri reali compresi tra 0 e 1. Un numero siffatto, diciamo t, può essere espresso nella forma:

t = 0, t1 t2 t3 …… tn ……,

dove le t1 [sic!] sono cifre comprese tra 0 e 9 (supponiamo di usare la ordinaria numerazione decimale). I casi sono due.

[4·1·17]
– Il numero t è razionale (è una ‹frazione›, “rapporto”, ‹ratio› in latino, di due interi). Allora, da un certo n in poi o le cifre sono tutte zero, o si ripetono in «periodi» uguali; così 0,3333… = ⅓.

– Il numero t è irrazionale; questo accade quando le infinite cifre non sono tutte zero da un certo punto in poi, e non si ripetono periodicamente.

[4·1·19]
Per esempio √2 [orig.] = 1,4142…, che esprime il rapporto tra la diagonale e il lato di un quadrato, è irrazionale (è a infinite cifre, e non è periodico); così il famoso π = 3,14159… (che le misure non fossero tutte date da rapporti di interi, fu grande scoperta dei greci).

I numeri pari, e così quelli dispari, sono tanti quanti tutti gli interi (naturali) (la corrispondenza n ↔ 2n tra interi e pari è biunivoca, ecc). Possiamo perciò scrivere le coordinate x, y di un punto P nella forma:

x = 0, a1 a3 a5
y = 0, a2 a4 a6

(x, y rappresentano così numeri reali, razionali o non, compresi tra 0 e 1).

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Perciò un punto P del quadrato di lato 1 può essere identificato con la coppia (ordinata) di numeri x, y sopra scritti, sue coordinate. (Attenzione, “coppia ordinata”; l’ordine, cioè la successione, ha una importanza decisiva: i punti (1,0) e (0,1) sono agli estremi opposti!) Cantor ha scoperto che: esiste una corrispondenza biunivoca tra i ‹singoli› numeri reali compresi tra 0 e 1 e le ‹coppie› (ordinate) di numeri reali compresi tra 0 e 1. Ne consegue che:
I punti di un quadrato sono tanti quanti i punti del suo lato!


— § —

[4·1·29]
Se accade che un insieme C contiene un sottoinsieme N, e che C però non ha la stessa potenza di N, sarà logico dire che C ha potenza superiore a N; e questo è precisamente quello che facciamo nel caso di continuo e numerabile. Come abbiamo già detto, il 12 dicembre 1873 Georg Cantor, non ancora trentenne, comunicò a Richard Dedekind di aver dimostrato il teorema. Seguiamo il suo ragionamento, nella forma assai semplice che riuscì a dare a esso molti anni dopo.
«Se m e w sono due caratteri che si escludono a vicenda [possiamo allora in ogni caso porre m = 0, w = 1; si pensi a caratteri come «vero» e «falso», «acceso» e «spento»] allora noi possiamo considerare una estensione concettuale [un insieme] di elementi

E = (x1, x2, …, xn, …),

che dipendono da infinite coordinate x1, x2, …, xn, … ciascuna delle quali è m oppure w [se usiamo i simboli 0 e 1, allora E è una successione infinita di “zeri” e di “uni”, disposti in modo arbitrario]. M sia la totalità [insieme] composta da tutti gli elementi E.

«Agli elementi di M appartengono per esempio i tre elementi seguenti:
EI = (m, m, m, m, …),
EII = (w, w, w, w, …),
EIII = (m, w, m, w, …).

«Affermo ora che un insieme M siffatto non ha la potenza della successione 1, 2, …, n, …».

Continuiamo con parole nostre, ma sempre seguendo il filo di Cantor. Se M avesse la potenza della successione dei naturali, N, sarebbe possibile numerare i suoi elementi E, disponendoli in una successione:
E1 = (a11, a12, …, a1n, …)
E2 = (a21, a22, …, a2n, …)

En = (an1, an2, …, ann, …)

Consideriamo allora l’elemento E di M:
E = (b1, b2, …, bn, …)
definito così: bn = 0 se ann = 1; bn = 1 se ann = 0.

La successione E non coincide perciò con nessuna delle En sopra elencate, perché differisce da En almeno nell’n-mo posto. Ma allora era assurdo supporre che M fosse numerabile; presa infatti comunque una successione di elementi di M, c’è sempre qualche elemento fuori di essa.

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Ecco esposto il procedimento diagonale di Cantor, che suscitò discussioni vivacissime, più o meno con le sue parole. Con tale procedimento abbiamo dimostrato anche che: ‹un continuo ha potenza superiore al numerabile›. Vediamo perché.


— § —

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Cerchiamo ora di dimostrare il teorema generale, nel quale si afferma la possibilità di costruire insiemi di potenza sempre più alta, senza mai giungere a un insieme di potenza massima, a un «assoluto» (che è impensabile).
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[4·3·3]
In un insieme M ‹qualsiasi› si possono introdurre le cosiddette ‹funzioni caratteristiche› dei suoi sottoinsiemi. Preso infatti il sottoinsieme I di M, chiamiamo ‹funzione caratteristica›, f, ‹associata› a I, la funzione che assume il valore 1 negli elementi di M appartenenti a I, il valore 0 negli elementi di M che invece non appartengono a I.

[4·3·4]
Ma allora è subito visto che le funzioni caratteristiche di M sono ‹tante quante› le parti di M. Chiamiamo P(M) (abbreviazione di «parti di M») l’‹insieme› dei sottoinsiemi, o «parti», di M. Per dimostrare allora che: ‹dato comunque un insieme› M, ‹l’insieme delle sue parti› P(M) ‹ha potenza a esso superiore›, basterà far vedere che: ‹l’insieme delle funzioni caratteristiche di› M ‹ha potenza superiore a› M.

[4·3·5]
Dimostriamolo. Indichiamo, per brevità, con la sigla f.c. le funzioni caratteristiche. Chiamiamo L l’insieme delle f.c. di M. Le f.c. di L che assumono il valore 1 soltanto per ‹un› elemento di M sono evidentemente tante quante gli elementi di M; L contiene un sottoinsieme equipotente a M. In secondo luogo: non è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra gli elementi di L e quelli di M. La dimostrazione è per assurdo.

[4·3·6]
Supponiamo la corrispondenza possibile, e chiamiamo fm la f.c. (unica) che corrisponde a m di M. Costruiamo allora la f.c. f così definita:

f(m) = 0 se fm(m) = 1; f(m) = 1 se fm(m) = 0.

La f è una f.c. di M, ma è diversa da tutte le fm, in quanto differisce da ogni fm almeno per il valore che assume in m. Perciò le fm non possono esaurire L, l’ipotesi era assurda. Ricordando la definizione data: ‹la potenza di L è più grande di quella di M›.

Una osservazione›: questo teorema include come primo e più semplice caso il fatto che ‹la potenza del continuo è superiore a quella del numerabile›. Infatti, le f.c. di N si possono rappresentare come successioni di 0 e 1. Per esempio:
0101… (alternati) è la f.c. del sottoinsieme dei pari
11111… (sempre 1) è la f.c. dell’intero N
000000… (sempre 0) è la f.c. dell’insieme «vuoto», l’insieme privo del tutto di elementi, da considerare parte di ogni insieme. La ‹potenza del continuo› si presenta da questo punto di vista come la ‹potenza dell’insieme delle parti dei naturali›.
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Ecco allora trovato ‹un primo metodo per costruire insiemi transfiniti di potenza via via crescente, all’infinito›. Il metodo consiste nel ripetere l’operazione di passaggio da un insieme all’insieme delle sue parti. Partendo dal transfinito minimo, che è il numerabile (vedi cap. 2), potenza dell’insieme dei naturali N, potremo costruire perciò la scala:
N;
P(N) = continuo lineare;
P(P(N)) = insieme delle funzioni definite su di un continuo lineare;
P(P(P(N))), e così via,
con parentesi sempre più abbondanti (tante a sinistra quante a destra).

Una questione di simbolismo. Per motivi che non è qui indispensabile chiarire, l’insieme delle parti, P(M), di un insieme M, si usa denotare così:

2M.

Inoltre, con |L| si indica la potenza, o cardinalità di un insieme L. Perciò, la scala di «potenze crescenti» sopra costruita può essere trascritta così:

[Fig. 4·3·1]

Ciò premesso, passiamo a una questione grossa.

[4·3·13]
C’è, o no, qualche potenza inseribile in mezzo a due elementi successivi della prima scala infinita di numeri cardinali transfiniti sempre più grandi, che con Cantor abbiamo costruito con successivi passaggi da un insieme al suo insieme potenza?

[4·3·14]
Per esempio, indicando con Aº il numero cardinale transfinito più piccolo, che è la potenza del numerabile N (vedi il capitolo precedente), esisterà, o no, qualche cardinale transfinito compreso tra Aº e 2 [1], cioè più grande di Aº ma più piccolo di 2? Il caso di A ‹finito› indurrebbe a una risposta positiva. Infatti, tra 2 e 2² c’è bene di mezzo 3, più piccolo di 4 ma più grande di 2, tra 2² e 2³ ci sono in mezzo già tre cardinali: 5, 6, 7; e il numero dei cardinali più grandi di 2n–1 ma più piccoli di 2n cresce ovviamente al crescere di n.


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NOTE
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[1]. Con 2 denotiamo |2N|, cioè la potenza di 2N, insieme delle parti di N. Cantor usa la prima lettera dell’alfabeto ebraico ‹aleph›; noi, per comodità, usiamo la A maiuscola.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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NOTA: questa parte del volume, che ripercorre le innovazioni fondamentali apportate da Cantor alla matematica mediante la teoria degli insiemi, è anche quella più ricca di dimostrazioni, non sempre facili da seguire anche a causa di alcuni errori e refusi che rendono problematica la comprensione di passaggi fondamentali; fortunatamente, è possibile ricorrere ad altri testi (e a wikipedia, che negli anni Ottanta non era disponibile) per integrare passaggi e informazioni mancanti.

[4·0·0]• Nella citazione posta a esergo: «[…] i concetti di ‹infinito potenziale› e di ‹infinito attuale› […] il ‹Transfinito› e l’‹Assoluto› […]» (Cantor); come mai i primi 2 sono scritti in minuscolo, mentre i secondi 2 hanno l’iniziale maiuscola? Osserviamo innanzitutto che Cantor scrive verosimilmente in tedesco, e in quella lingua tutti i nomi (anche quando sono aggettivi o verbi sostantivati) si scrivono con l’iniziale maiuscola. La scelta di renderli differentemente in italiano va dunque inputata al traduttore, o forse allo stesso LR. Il forte sospetto di una disposizione di compromesso – se non di connivenza – con contenuti di tipo religioso (l’Assoluto essendo storicamente collegato alla divinità trascendente del monoteismo) sarà poi confermato dalla lettura delle appendici, in particolare la 1ª, intitolata: ‹Dio: un presente o un futuro?›, alla quale rimandiamo.

[4·1·11]• Nel testo originale: «[…] è, invece, un [sic!] caratteristica specifica […]», la mancata concordanza è il risultato di un refuso, dev’essere “una”; corretto.

[4·1·16]• Dopo la 1ª “formula”: «x e y sono numeri che esprimono ‹misure› […]», qui evidentemente LR usa “misura” non in senso fisico (contesto nel quale il risultato di una misura è sempre affetto da errori, la cui gestione consente di definire un’affidabilità della misura stessa), ma in senso matematico, come rapporto tra grandezze geometriche.
IBID.• Nella 2ª “formula”: «t = 0, t1 t2 t1, ……, tn ……, [sic!]», mentre la prima e l’ultima virgola si giustificano (la prima è quella che separa lo zero dalle cifre decimali, l’ultima quella relativa al discorso), quelle intermedie sono invece spurie (i puntini rappresentando una sequenza indefinita di cifre decimali); virgole intermedie eliminate.
IBID.• Dopo la 2ª “formula”: «dove le t1 [sic!] sono cifre comprese […]», intende ‹tutte› le cifre decimali, quindi dovrebbe piuttosto essere “t1tn …” oppure “ti”; marcato con [sic!].

[4·1·17]• «[Se il numero è razionale…] da un certo n in poi o le cifre [decimali] sono tutte zero, o si ripetono in “periodi” uguali; così 0,3333… = ⅓»: l’esempio non è particolarmente indovinato, essendo il “periodo” limitato a una sola cifra (ma allora anche “tutte zero” ricade nel caso di cifre periodiche, sovrapponendosi oltretutto a “tutti nove”, giacché 1,0000… = 0,9999…); meglio sarebbe forse stato ricorrere a 1/7 = 0,142857142857… il cui periodo è chiaramente “142857”.

[4·1·19]• «[…] che le misure [cioè i rapporti tra grandezze geometriche] non fossero tutte date da rapporti di interi, fu grande scoperta dei greci»: forse “dei Greci” (con l’iniziale maiuscola), oppure “dei matematici greci” (con la minuscola), ma comunque di Greci che non vivevano in Grecia, bensì nelle “colonie” greche, ad esempio in Magna Grecia.

[4·1·29]• Nell’ultimo cpv. della dimostrazione: «La successione E non coincide perciò con nessuna delle En sopra elencate […]»; naturalmente, la successione E considerata non è che un caso particolare; lo stesso risultato si avrebbe ad esempio permutando 2 qualsiasi delle righe En (infinite permutazioni), o 3 qualsiasi (ancora infinite permutazioni), oppure 4 qualsiasi, e così via.

[4·3·3]• Nel testo originale: «[…] chiamiamo ‹funzione caratteristica›, f [sic!], ‹associata› a I, la funzione […]›», ci pare che sarebbe coerente con la trattazione successiva indicare la funzione con f (in corsivo); testo modificato.

[4·3·4]• Nel testo originale: «Chiamiamo P (M) [sic!] (abbreviazione di «parti di M»), ‹associata› a I, la funzione […]›», l’espressione “P (M)” compare (per 2 volte) in questo cpv. con uno spazio dopo ‘P’, mentre nel seguito si trova sempre indicata come “P(M)” (senza spazio); per coerenza, e assumendo si tratti di un refuso, sopprimiamo qui lo spazio.

[4·3·5]• Nel testo originale: «Le f.c. di L che assumono il valore 1 soltanto per ‹un› elemento di M […]», sono in realtà f.c. di M ma, in quanto f.c. di M, sono elementi di L (che è definito nel testo come «l’insieme delle f.c. di M»); la dizione adottata si presta a confondere le idee del lettore.

[4·3·6]• Nel testo originale: «[…] chiamiamo fm la f.c. (unica) che corrisponde a m di M», m non è definito; possiamo assumere si tratti di un singolo elemento di M. L’ipotesi (che s’intende dimostrare assurda) è che a ogni m elemento di M corrisponda (biunivocamente) una fm che sia elemento di L, ma ‹non è› la f.c. di m, per cui non è detto che fm(m) = 1.
IBID.• Nel testo originale della formula, nella 2ª parte (cioè dopo il punto-e-virgola): «[…] fm [sic!] = 1 […]», è erroneamente scritto “fm” laddove dovrebbe invece essere (per analogia con la 1ª parte, prima del punto-e-virgola) “f(m)”, il che non facilita certamente la comprensione dell’argomento; corretto.
NOTA: per una descrizione alternativa del cosiddetto “Argomento diagonale di Cantor”, vedi wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Argomento_diagonale_di_Cantor).

[4·3·13]• «[…] con successivi passaggi da un insieme al suo insieme potenza?»: ma è la 1ª volta che compare questa espressione “insieme potenza”; a logica, possiamo immaginare essa corrisponda al passaggio da M a P(M), l’insieme delle “parti” di M, come definito al cpv. 4·3·4.

[4·3·14]• «[…] indicando con Aº […] la potenza del numerabile N […]»: per cui immaginiamo si possa scrivere Aº = |N|.
NOTA: volendo utilizzare per i transfiniti la notazione (degli ‹alef›) di Cantor, sarebbe:
0 = |N|.

[Fig·4·1·2]• «Un oggetto non svolge mai lo stesso ruolo del suo nome e della sua immagine» (Magritte); la citazione però è fuorviante, giacché nel testo si parla di numeri o, tutt’al più, di figure geometriche, e né gli uni né le altre hanno realtà oggettiva al di fuori dei simboli o delle figure che li (o le) rappresentano; che differenza c’è tra un numero e la cifra o la parola che lo rappresenta? Che differenza c’è tra una linea e la sua “immagine”?

[Fig·4·1·3a]• Nel testo originale della didascalia: «Re nero in D4 [sic!]», la cosiddetta “notazione algebrica” sarebbe in questo caso “Rd4” (le colonne essendo indicate con lettere minuscole, mentre la ‘D’ maiuscola indica la Donna o “regina”), ma la figura è comunque errata, perché le righe vengono numerate a partire dal basso (la casa a1 è quella in basso a sx, dove a inizio partita si trova la Torre di Donna del Bianco); vedi figura; vedi anche wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Notazione_algebrica.

[Fig·4·1·3b]• Nel testo originale della didascalia: «In basso: metodo della [sic!] coordinate», la mancata concordanza è effetto di un refuso, dev’essere “delle”; corretto.

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[] Lucio Lombardo Radice, ‹L’infinito›, Editori Riuniti (1981), 2006.
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