LombardoRadice·L • infinito §1 • Un infinito in atto…

Parte prima. Un infinito in atto non può essere pensato



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1. Parte prima. Un infinito in atto non può essere pensato [pp. 7-18]
1.1. O l’infinito potenziale… [pp. 8-12]
1.2. … o Dio, l’infinito assoluto [pp. 13-18]
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TERMINI-CHIAVE
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• assiomaª (postulati)
• astrazione (astrazione mentale)
• categoria (categoria mentale)
• cognizione
• collezione (collezione di infiniti punti)
• conoscenza
• continuo (successione continua)
• deduttivo (metodo deduttivo)
• discreto (successione discreta)
• divisibile
• ‹entelechia› (fine ultimo)
• fenomeno (fenomeni fisici)
• filosofia
• fine (fine dello spazio)
• fisica (realtà fisica)
• geometria
• greco (parola greca, civiltà greca, civiltà greco-latina)
• immaginazione
• immagine (nel gioco degli specchi)
• infinità (dell’universo, dello spazio, del tempo)
• infinitesimale (metodi infinitesimali)
• infinito (l’infinito, ‹die schlechte Unendlichkeit› di Hegel, infinito potenziale, infinito attuale, infinito assoluto)
• intelletto
• intuizione
• linea (linea di pensiero, continuo lineare)
• linguaggio (linguaggio filosofico)
• matematica
• metamatematica
• numero (numero intero, numero naturale)
• pensiero (linea di pensiero)
• postulato (postulati)
• punto
• Rinascimento
• segmento (segmenti)
• successione (successione crescente)
• teorema
• universo (infinità dell’universo)
• vuoto (il vuoto)
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(ª) espressione non esplicitamente contenuta nel testo.


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AUTORI E OPERE, PERSONAGGI, STUDIOSI
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• Agostino (Agostino di Tagaste, vescovo di Ippona, 354-430: ‹De Civitate Dei›)
• Anselmo (Anselmo d’Aosta)
• Archimede
• Aristotele (384-322 a.e.v.: ‹Fisica›, ‹Analitici Secondi›)
• Binacchi (Gianni Binacchi, in ‹Parliamo tanto di me›)
• Cantor (Georg Cantor)
• Dante (1265-1321: ‹Paradiso›, ‹Divina commedia›ª)
• Dedekind (Richard Dedekind)
• Democrito
• Dio
• Escher*
• Euclide (‹Elementi›)
• Galilei (‹Dialogo sui massimi sistemi del mondo›, 1632)
• Hegel (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, 1770-1831)
• Leopardi (Giacomo Leopardi)
• Platone
• Proclo (V sec.: ‹Commento al I libro degli Elementi di Euclide›)
• Tommaso (Tommaso d’Aquino, 1225-1274: ‹Summa theologica›)
• Zavattini (Cesare Zavattini: ‹Parliamo tanto di me›)
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(ª) riferimento o dettaglio non esplicitato nel testo.
(*) menzionato nelle didascalie.


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COMMENTO
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Zavattini e Leopardi (nell’ordine) introducono il concetto di infinito, anzi di “infiniti differenti” (discreto il primo, quello dei numeri interi “naturali” indefinitamente crescenti; continuo, quello dello spazio e del tempo, il secondo); LR (Lombardo Radice) accenna al “continuo lineare”, ma stranamente non parla di “linea”, non si pone cioè il problema di quando e come nasca l’idea di linea, che si direbbe esclusivamente umana.
Esistono comunque segmenti, rette e circonferenze (guarda caso, gli ‹Elementi› di Euclide) e sono fatti, LR lo dà per scontato, di “punti”; tra 2 qualsiasi di questi punti ve ne sono “infiniti” altri, e un tratto di linea può essere suddiviso “all’infinito”, ma queste divisioni, come si vedrà, sono ben lungi dall’esaurire l’autentica dimensione del “continuo”. Aristotele si era accanito a negare l’esistenza e la pensabilità di un infinito attuale (in atto), ammettendo solo quella di un infinito potenziale (in potenza), consistente nella possibilità di concepire grandezze indefinitamente crescenti (come i numeri naturali) o decrescenti (come i frammenti sempre più piccoli di segmenti) ma in ogni caso, ad ogni passo, finite; questo (secondo Aristotele) era tutto ciò di cui avevano bisogno i matematici. Poi, però, egli stesso – come filosofo? – aveva necessità di postulare un “infinito assoluto”, un Principio primo e un Fine ultimo.

A questo punto, LR fa una digressione sul metodo deduttivo e sulla necessità, constatata l’impossibilità di una serie infinita di dimostrazioni, di fondare la catena di deduzioni su alcuni assiomi di base; il sinonimo che utilizza, “postulati” (da “postulare”), sembra smentire l’opinione comune (che pare condivisa anche da LR) che si tratti di enunciati intuitivi, certi, che pertanto non necessitano di dimostrazione. La stessa funzione dei postulati nella teoria (impedire il regresso all’infinito) è svolta nel mondo fisico dall’assoluto, che lo si voglia chiamare Dio, Primo Motore Immobile, Principio primo o Fine ultimo.

Sia come sia, all’improvviso ci troviamo proiettati nel Duecento, quando il ‹Paradiso› di Dante riprende concezioni di Tommaso d’Aquino, la cui ‹Summa theologica› aveva recepito motivi della filosofia aristotelica (recuperati attraverso traduzioni e commenti arabi, ma questo LR non lo dice); sul versante opposto c’è invece Agostino di Tagaste (tra IV e V sec.), vescovo di Ippona, che nel ‹De Civitate Dei› afferma che ogni singolo numero è sì finito, ma nella mente di Dio essi sono certo infiniti (in numero) e tutti simultaneamente presenti; molti secoli dopo, Galilei estenderà questa capacità anche all’essere umano, il cui intelletto, rispetto a quello divino, è minimo ‹extensive› (per estensione della conoscenza), ma pari ‹intensive› (per qualità e chiarezza delle cose conosciute); l’infinito attuale, secondo costoro, esiste, e in un fugace accenno finale, LR fa risalire questa linea di pensiero alternativa a Democrito e ad Archimede – e Anassimandro?

Rimane comunque assai vago cosa sia, da un punto di vista matematico, l’infinito “assoluto”.


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ESTRATTI
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•[1·1·6]•
Innanzitutto, la infinità potenziale è caratteristica del nostro modo (normale) di concepire lo spazio e il tempo: rispettivamente come un cubo sempre accrescibile, e come un segmento che è prolungabile indefinitamente. Non è detto però che l’infinità potenziale sia necessariamente caratteristica dello spazio e del tempo reali, quelli nei quali si svolgono i fenomeni fisici. Per la verità le cose sono assai più complicate, lo spazio-tempo non è un semplice contenitore dei fenomeni, è strutturato in funzione della materia che contiene; ma la cosa non interessa la parte principale del nostro discorso. Lasciamo quindi da parte, d’ora in poi, i problemi relativi alla infinità o meno dell’universo, dello spazio fisico e del tempo reale. Ci occuperemo soltanto di costruzioni mentali, quali sono i numeri interi, o i tratti (segmenti) di retta o di curve continue. Riflettiamo dunque sulle successioni di numeri e sulle successioni di punti. Attiriamo subito l’attenzione sul fatto che c’è una differenza di qualità tra la successione potenziale infinita dei numeri naturali crescenti, e la successione dei punti di una retta, o anche di un suo segmento, o anche di una circonferenza, insomma di quello che chiamiamo un “continuo lineare”.

[Fig. 1·1·2] — successione continua / successione discreta

•[1·1·7]•
In entrambi i casi la successione è composta da una quantità inesauribile di elementi. Nel caso della successione dei numeri naturali, però, si procede per così dire a scatti; si può andare sempre avanti, senza fine, perché si può aggiungere sempre, quale che sia il punto al quale si è giunti, ancora una unità. Si tratta di una successione infinita “discreta”: fatto un passo, è ben chiaro quale deve essere il successivo; tra un elemento e quello che viene dopo c’è stacco netto, c’è il vuoto. Ben diverso il caso della retta. Qui la successione infinita è continua. Arrivati a un certo punto, non ha senso parlare del punto a esso ‹immediatamente› successivo. Tra un punto e un altro che lo segue ci sono sempre infiniti punti che formano un segmento anch’esso continuo, infinitamente divisibile in parti esse stesse continue, ancora infinitamente divisibili, e così via senza fine. Qui sembra ci sia qualcosa di più della possibilità di andare avanti all’infinito: qui passando da un punto P a un punto a esso successivo Q (nel verso di percorrenza prescelto) sembra che si passi attraverso infiniti punti, che ogni volta si esaurisca una infinità di elementi, che si abbia una collezione di infiniti punti dati tutti insieme. Un “infinito in ‹atto›”, dunque, e non solo in ‹potenza›; un’infinità ‹compiuta›, e non soltanto ‹non completabile›; ‹esaurita›, e non soltanto ‹inesauribile›. Una successione infinita discreta, sempre riconducibile alla ripetizione infinita del «più un altro», è un oggetto mentale di tutto riposo. Il grande filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) chiamava questa prima, e più elementare, manifestazione dell’infinito potenziale ‹die schlechte Unendlichkeit›: “la cattiva o mala infinità”.

•[1·1·8]•
Il “continuo” è altra cosa, e pone un problema grosso, grossissimo, che è stato pienamente e definitivamente chiarito soltanto da Richard Dedekind e da Georg Cantor, i due protagonisti del capitolo centrale di questa storia (vedi parte quarta), che lavorarono e collaborarono nella seconda metà dello scorso secolo. Possiamo porre il problema nei seguenti termini: un segmento continuo è solamente divisibile in un numero grande quanto si vuole di parti, per esempio con un processo di successive divisioni che non ha termine, ed è quindi infinito nel senso potenziale, o può anche essere concepito come infinito in atto, come collezione infinita compiutamente data di tutti i suoi punti? Consideriamo acquisita e non controversa la possibilità di dividere all’infinito il continuo. Affronteremo in seguito, nella parte seconda, la questione dell’eventuale secondo modo di essere infinito di un segmento (di un continuo): quello di essere un ‹infinito già tutto dato›, compiuto ed esaurito di elementi “indivisibili”, un ‹infinito in atto›. Prima, consideriamo l’unico altro infinito preso in considerazione dai pensatori per millenni accanto al domestico infinito potenziale: l’“infinito assoluto”.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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•[1·1·6]• «[…] concepire lo spazio e il tempo: rispettivamente come un cubo sempre accrescibile, e come un segmento che è prolungabile indefinitamente»: in verità, parlando di “segmento”, Lombardo Radice (nel seguito LR) non sta parlando di tempo, ma della sua rappresentazione grafica, cioè ancora di spazio. Si tratta di una rappresentazione cartesiana, ormai interiorizzata non solo da LR, ma da tutti noi che l’abbiamo studiata a scuola. Non è però affatto detto che sia la concezione “originaria” di spazio e tempo, tant’è vero che da Anassimandro a Cartesio ci sono più di 2 millenni, e ancor di più se partiamo dai Sumeri e dall’invenzione della scrittura.
•[ivi]• «[…] quello che chiamiamo un “continuo lineare”»: questa è l’espressione più vicina al concetto di “linea” nel testo di LR (in altre occorrenze compare in senso metaforico, come “linea di pensiero”); quando si tratta di elementi geometrici usa invece “segmento”, “retta”, “circonferenza”, ma mai “linea”, ed è curioso che un testo che tratti dell’infinito non menzioni mai la linea in senso proprio.

•[1·1·7]• «[…] tra un elemento e quello che viene dopo c’è stacco netto, c’è il vuoto»: perché “il vuoto”? Che cosa intende? Tra un segno e il successivo c’è una porzione di pagina senza segni, che non è il vuoto. Anche tra due interi successivi, che sono idee, concetti, non c’è il vuoto. Se conto mentalmente: “uno, due, tre…” tra un numero e il successivo faccio il vuoto? Tutt’al più c’è una virgola, che rappresenta una pausa, durante la quale sicuramente penso qualcos’altro, e se così non fosse, non smetterei mai di contare…
NOTA: questa obiezione nasconde un interrogativo più profondo, che riguarda la natura del pensiero; questo appartiene al discreto oppure al continuo? In altre parole: tra un pensiero e un pensiero successivo ce ne sono infiniti altri (come i punti di una linea), oppure si procede “a salti” (come se contassi)? Non risulta che nessuno (tra coloro che abbiamo letto) si sia posto questa domanda.

•[1·1·8]• «[…] Dedekind e […] Cantor […] lavorarono e collaborarono nella seconda metà dello scorso secolo»: intende ovviamente l’Ottocento (la 1ª edizione del volume è del 1981).

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[] Lucio Lombardo Radice, ‹L’infinito›, Editori Riuniti (1981), 2006.
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