Una presentazione mancata



di Diego Julio Vinicio Melendez


Attraversando perigliosamente il traffico caotico del venerdì sera, e schivati i numerosi pedoni che percorrevano con aria distratta il marciapiede in entrambe le direzioni, Onorio Casales s’infilò nell’androne, già gremito di pubblico, che dava accesso alla sala conferenze. Conosceva bene quel locale, per avervi assistito a diversi eventi culturali, inaugurazioni di mostre, e persino a qualche dibattito politico. Alcuni tavoli esponevano libri dalle copertine variegate, calendari, disegni e dipinti, e Onorio si soffermava spesso con piacere a osservare le novità, e talvolta a scambiare qualche opinione coi venditori.

Chissà quanta di quella gente era lì per partecipare all’evento che gli interessava – si chiese – forse sarebbe stato il caso di affrettarsi… ma il suo sguardo fu attratto dalla locandina posta bene in vista su un espositore:
IL MISTERO DELLA LINEA
Una ricerca di quarant’anni

Così recitava il titolo, che sovrastava un disegno incomprensibile, forse un quadro, in cui linee dai diversi colori sembravano sfrecciare in tutte le direzioni.

Poco più sotto erano elencati i relatori, e con indicibile sorpresa scoprì che all’ultima posizione stava scritto:
Onorio CASALES, ricercatore.

Ma… com’era possibile? – si chiese, sconcertato – il suo nome figurava fra i relatori, e nessuno si era degnato di avvertirlo? Oppure si trattava di un caso di omonimia? Ma quest’ultima subito gli sembrò un’ipotesi assai poco convincente. Non c’era dubbio, quello era proprio il suo nome. Ricercatore? Forse non sapevano che altro scrivere…

Però, adesso, che fare? Dovette ammettere di non avere la minima idea dell’argomento della presentazione. Si trattava di un libro? Oppure di una mostra d’arte? Neppure la locandina, con le sue scarne informazioni, gli era d’aiuto.

Proprio allora si rese conto di tenere in mano una decina di fogli. Certamente li aveva portati per prendere appunti, pensò; ma si accorse che erano già scritti, e su entrambi i lati, con una grafia fitta e ordinata che riconobbe subito come sua.

Questa sì, che è strana! – constatò. Erano anni che non scriveva più a mano, se non per qualche breve appunto; per testi di una lunghezza anche moderata si era ormai abituato a usare il computer… un vero peccato, a pensarci bene, la sua calligrafia era sempre stata così chiara… senonché le sue riflessioni furono bruscamente interrotte.

«Ma cosa fa ancora qui?» lo apostrofò a bruciapelo un signore un po’ corpulento, in giacca e cravatta, avvicinandosi. Doveva essere uno degli organizzatori, si disse Onorio, mentre cercava confusamente una risposta. «Si sbrighi… si sbrighi, la presentazione è già cominciata…» aggiunse quello, in tono perentorio, agitando le mani per sottolineare l’urgenza dell’esortazione.

«Scusi, ma…» iniziò a giustificarsi Onorio, esitando; però, prima che potesse completare la frase, l’uomo era già andato oltre, dirigendosi verso l’uscita.

Che diamine! – pensò – e adesso che fare? Poteva defilarsi alla chetichella, lasciando agli altri relatori il compito di spiegare la sua mancata partecipazione? Oppure doveva comunque raggiungerli sul palco, magari scusandosi per il ritardo… e parlare a braccio di un argomento che non conosceva minimamente? Ma come aveva fatto a ficcarsi in una situazione tanto imbarazzante?

Forse qualche indizio poteva trovarsi in quei fogli scritti. Qualche minuto di ritardo in più o in meno, in fondo, non avrebbe fatto molta differenza. Trovò una specie di loculo in cui sistemarsi, tra un pilastro e una parete laterale, e si aggiustò per bene gli occhiali. I primi fogli trattavano dei filosofi presocratici, di Pitagora in particolare, e della storia dei numeri. Interessante, ma che c’entrava con la linea?

Qualche pagina dopo, iniziavano a comparire strane formule e diagrammi di non immediata comprensione. Sembravano più appunti per una lezione universitaria che non una relazione da leggere davanti a un pubblico certamente composito. Scorse frettolosamente le pagine fino all’ultima, dove si accennava, in termini che avevano un che di vago ed enigmatico, alla sparizione dell’infinito.

A dire il vero, l’argomento sembrava stuzzicante, e forse avrebbe potuto estrarne qualche frase per costruirvi attorno le sue considerazioni, ma in quelle circostanze non aveva certo il tempo di esaminare l’intero scritto… Che fare, allora? – si chiese nuovamente.

«Onorio, che piacere!» questa volta era un signore più giovane, e in abbigliamento più sportivo, che gli si avvicinava, sorridendo cordialmente. Lo salutò stringendogli i gomiti, dato che Onorio teneva ancora nelle mani i fogli scritti. «Magnifica presentazione, davvero, complimenti!» commentò, guardando gli appunti con evidente curiosità. «Certo, un po’ difficile… bisognerà risentirla!» e anche questo si allontanò, senza attendere la replica dell’interlocutore.

Che cosa era successo? Forse qualcun altro aveva letto la sua relazione? Onorio notò che in effetti il pubblico cominciava lentamente a defluire. Peccato che l’evento si fosse già concluso, non gli sarebbe affatto dispiaciuto, in verità, ascoltare il proprio intervento. Sorrise tra sé e sé all’involontario paradossale pensiero che si era trovato a formulare, quando qualcun altro lo salutò.

«Lucio… come stai?» gli chiese un giovanotto dai modi affabili, e fin troppo confidenziali. Lucio? Tanta gente faticava a ricordarsi il suo nome, forse perché era così poco comune, ma… Lucio? Non che gli dispiacesse, era un nome illustre, con una lunga storia, anche letteraria… e trattenne un nuovo sorriso, pensando al giovane trasformato in asino nelle “Metamorfosi” di Apuleio.

«Bene, bene… benissimo!» gli rispose, salutandolo con un gesto della mano, mentre con l’altra teneva stretti i suoi preziosi fogli. E si allontanò velocemente verso l’uscita, prima che qualcun altro lo riconoscesse, o pensasse di riconoscerlo. Si fermò solo un attimo, appena superata la grande porta a vetri, per sbirciare indietro fra la gente che usciva insieme a lui.

Tanti volti noti, gli sembrò, ma nessuno che potesse dire di conoscere veramente. Poi si confuse in mezzo alla folla che percorreva il marciapiede, guardando ogni tanto soprappensiero le vetrine dei negozi, e dirigendosi verso casa, dove pregustava ormai, quegli appunti alla mano, una tranquilla fine serata.

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