Graves·R, Patai·R (miti ebraici) 3 • Cosmologia mitica

3. Cosmologia mitica



Sommario ••▶ (testo)
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◀•• 3. Cosmologia mitica [pp. 38-45]
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TERMINI-CHIAVE
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• angelo (angeli custodi)
• cherubino (cherubini)
• Farisei (popolo)
• Gehenna
• inconciliabilità
• midrash
• paradiso (primo paradiso)
• parasanga (= 3 miglia; parasanghe)
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(ª) grafia non contenuta nel testo.


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TRASLITTERAZIONI
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• ‹adama› (terra)
• ‹‘arabhoth› (pl.? pianure) [TBV]
• ‹arqa› (di derivazione aramaica: terra)
• ‹ereṣ› (terra)
• ‹ḥarabha› (terra riarsa)
• ‹hashmal› (‹elektron›, ambra o ambra gialla, sorgente di luce?)
• ‹ḥeled› (mondo)
• ‹makhon› (collocamento)
• ‹ma’on› [sic!] (residenza) [TBV]
• ‹raqi‘a› (firmamento)
• ‹sheḥaquim› (pl. nubi o macine)
• ‹ṣiyya› (siccità)
• ‹tebhel› (mondo)
• ‹teman› (sud, terra del sud)
• ‹wilon› (tenda)
• ‹yabbasha› (terra secca)
• ‹zebhul› (dimora)


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TOPONIMI
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• Aqaba (golfo di Aqaba)
• Arabia (Arabia del nord, Arabia del sud)
• Babilonia
• Caldea
• Eden (giardino dell’Eden)
• Edom
• Egitto
• Etiopia
• Tayma
• Teman (terra di Teman, terra del sud?)
• Yemen
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(ª) grafia non contenuta nel testo.


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AUTORI OPERE E PERSONAGGI
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• Abuya (Elisha ben Abuya, rabbino)
• Akiba (Akivaª ben Joseph, 50-135, rabbino: ‹Ma‘asêh merkavah› “L’opera del carro”)
• Azzay (Ben Azzay, o Ben Azaiª, rabbino)
• Bar-Hana (rabbino che viaggiò fino ai confini della terra)
• Dio
• Eliphaz
• Eratostene di Cirene
• Esaù
• Ezechiele
• Giobbe
• Husham (re di Edom?)
• Michele (arcangelo)
• Samaele (l’ospite di Samaele?)
• Shimon ben Laqish (rabbino)
• Talmud (Talmud babilonese)
• Tolomeoª (Claudio Tolomeo, II sec., astrologo, astronomo e geografo greco antico)ª
• Yose (rabbino)
• Zoma (Ben Zoma, rabbino)
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(ª) riferimento o dettaglio non esplicitato nel testo.
(ⁿ) riferimento o dettaglio esplicitato in nota o nella bibliografia.


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ESTRATTI
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1. Queste dottrine rabbiniche, soprattutto derivanti da azzardate fonti greche, persiane e babilonesi, furono create per impressionare l’umanità riguardo alla inimmaginabile potenza e complessità del lavoro di Dio, e la stessa inconciliabilità di queste dottrine tra loro, avvalorò tale impressione. I saggi accettarono il concetto biblico della terra piatta, ma erano tutti perplessi e sconcertati dal fatto che il sole ogni mattino apparisse ad oriente. Un frammento di scienza matematica troviamo nel fatto che la misura delle dimensioni della terra si avvicina ragionevolmente a quella dichiarata dal fisico tolemaico Eratostene di Cirene, nel terzo secolo a.C.
•[3·1·1]• ±?


— § —


4. Nei tempi del Talmud, le considerazioni sulla struttura dell’Universo erano chiamate ‹ma‘asse merkabhah› «ciò che riguarda il carro», perché pertinenti al carro divino descritto da Ezechiele. I Farisei consideravano pericolosi gli studi di queste cose e parecchie leggende parlano di studiosi che omisero necessarie precauzioni: Ben Azzay morì all’improvviso, Ben Zoma impazzì, Elisha ben Abuya divenne eretico; soltanto il rabbino Akiba sopravvisse, grazie alla sua umiltà e circospezione (‹B. Hagiga› 14b-16a).
•[3·4·1]• ±? extra?


5. Che l’intero Universo penda dalle braccia di Dio è citato in primo luogo nel Talmud babilonese (‹B. Hagiga› 12b): Il rabbino Yose dice: ‘La terra posa su colonne, le colonne sull’acqua, l’acqua sulle montagne, le montagne sul vento, il vento sul turbine, e il turbine pende dal braccio di Dio’». Ma questo non si concilia con la visita quotidiana di Dio a ogni cielo e a ogni terra.



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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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•[3·1·1]• «[…] la stessa inconciliabilità di queste dottrine tra loro, avvalorò tale impressione»: sembra quindi di poter dedurre che un elevato tasso di incongruenza tra le “dottrine” dei vari sapienti non fosse affatto un inconveniente, ma al contrario una sorta di amplificatore della straordinarietà delle credenze – cioè delle cose credute.
IBID.• «[…] la misura delle dimensioni della terra si avvicina ragionevolmente a quella dichiarata dal fisico tolemaico Eratostene di Cirene, nel terzo secolo a.C.»: peccato che Tolomeo – Claudio Tolomeo, quello che scrisse l’‹Almagesto› – visse nel II sec. e.v., quindi non si vede come Eratostene potesse essere “tolemaico” se non assumendo quell’andamento non-lineare del tempo che è tanto caro agli estensori dei testi sacri (e forse per osmosi anche a coloro che li studiano).

•[3·4·1]• «[…] Ben Azzay morì all’improvviso, Ben Zoma impazzì, Elisha ben Abuya divenne eretico; soltanto il rabbino Akiba sopravvisse, grazie alla sua umiltà e circospezione […]»: di che stanno parlando i nostri 2 autori? Amir D. Aczel, nel suo volume ‹Il mistero dell’alef› (Il Saggiatore 2002), capitolo 3, ‹Cabala› (pp. 29-30), scrive:
A seguito di questo evento traumatico [la distruzione del II Tempio], la classe dirigente ebraica si disperse in Giudea, e un certo numero di saggi si stabilì a Jabneh, lontano da Gerusalemme, città nella quale era stato proibito agli ebrei di risiedere. Questi primi rabbini, che sostituirono i sacerdoti del Tempio, fondarono un’accademia. Tra loro c’era un uomo che sarebbe diventato una grande guida spirituale del popolo ebraico, il rabbino Akiva ben Joseph (50-135 d.C.).
Il rabbino Akiva scrisse una raccolta di saggi intitolata ‹Ma‘asêh merkavah› (L’opera del carro), che indicava ai credenti una nuova strada verso la spiritualità. Il suo metodo consisteva nel presentare una serie d’immagini di “palazzi” celesti, al fine di promuovere la meditazione e, attraverso questa, l’accostamento al divino. Sembra però che Akiva si fosse imbattuto in un metodo che imponeva sforzi troppo intensi alla mente umana. Le meditazioni prescritte dal rabbino richiedevano, infatti, esperienze extracorporee e stati mentali alterati ed estatici precedentemente ignoti alla cultura occidentale. Ma se le visioni dei palazzi celesti lungo la via che porta a Dio erano vivide e intense, Akiva esortava i suoi allievi a non abbandonarsi alle allucinazioni e a non perdere il contatto con la realtà. «Quando entri nelle pietre pure di marmo [uno stadio della meditazione]» scriveva «non dire “Acqua! Acqua!” poiché il Salmo ci dice: “Colui che mente non rimarrà dinnanzi agli occhi miei”».
Akiva utilizzava passi biblici e cantilene da lui stesso composte come mezzi per raggiungere uno stato mentale di tipo meditativo. Uno di questi espedienti consisteva nella visualizzazione di una luce infinitamente luminosa, la quale simboleggiava la ‹chaluk›, la veste che copriva Dio quando apparve a Mosè sul monte Sinai. Con le loro meditazioni, Akiva e i suoi allievi si proponevano di provare un’esperienza di intensità pari a quella di Mosè quando poté vedere la figura di Dio.
Secondo la leggenda, Akiva e altri tre rabbini entrarono insieme nei palazzi della meditazione. La loro esperienza fu così intensa che il primo, Ben Azai, diede uno sguardo alla luce infinita e morì, perché la sua anima desiderò raggiungere la fonte della luce tanto ardentemente da abbandonare il corpo e svanire. Il secondo, il rabbino Elisha ben Abuya, rivolse lo sguardo alla luce e vide due esseri divini anziché uno. E così divenne un apostata. Il terzo, Ben Zoma, vide la luce infinita della veste di Dio e perse la ragione, perché non riuscì a riconciliare la vita di ogni giorno con tale visione. Soltanto il rabbino Akiva riuscì a sopravvivere a questa esperienza.

Lo sviluppo e l’elaborazione di questi metodi e di queste conoscenze avrebbe dato luogo, nella Spagna dell’XI sec., alla Cabala. Ad ogni modo, Ben Azzay (Ben Azai), Ben Zoma e Elisha ben Abuya erano tutti in qualche modo seguaci di Akiba (Akiva ben Joseph).
NOTA: all’inizio del cpv., «[…] le considerazioni sulla struttura dell’Universo erano chiamate ‹ma‘asse merkabhah› “ciò che riguarda il carro” […]» ma, secondo Aczel, ‹Ma‘asêh merkavah› (“L’opera del carro”) è il titolo di una raccolta di saggi in cui lo stesso Akiba (Akiva ben Joseph) esponeva il suo metodo.

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[] Robert Graves, Raphael Patai (1963), ‹I miti ebraici›, Longanesi 1980-1998.
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