Un venerdì nero e vent’anni di meno



di Diego Julio Vinicio Melendez


Al termine della pausa per il pranzo, Onorio Casales era rientrato in ufficio; aveva da poco ripreso il suo posto quando giunse in visita il Coordinatore, seguito, come d’abitudine, dal Confidente, un collega che non perdeva occasione di tallonare il capo, quasi ne fosse l’ombra, durante le sue visite settimanali.

«Tutto a posto, ragazzi?» chiese il Coordinatore, appena fatto il suo ingresso, esibendo la consueta espressione gioviale; quel suo modo di presentarsi era talmente costante da sembrare a volte una posa studiata. Eppure – bisognava ammetterlo – l’interpretazione non gli riusciva affatto male: il personaggio aderiva perfettamente all’attore… o viceversa. Di norma andava sempre vestito in modo formale, quel giorno però sfoggiava un look particolarmente elegante; in mattinata doveva aver preso parte a una riunione con qualche capoccione dell’organizzazione.

«Sì, tutto bene» gli rispose Onorio, che in quel momento stava accingendosi a riavviare il computer per dare un’occhiata alla posta. Si trattenne, però, dal procedere; forse il Coordinatore aveva qualche novità importante da comunicare.

«In realtà, in questi ultimi giorni non c’è stato un granché da fare» s’intromise il Confidente, in tono lamentoso. Commento del tutto inutile – non poté fare a meno di pensare Onorio – giacché il Coordinatore era di sicuro già al corrente della situazione. Faceva parte dei suoi compiti, del resto. Tuttavia non disse nulla.

«Niente dolcetti, stamattina?» proseguì quello, cambiando argomento. Pochi giorni prima, in effetti, uno degli impiegati aveva portato in ufficio un vassoio stracolmo di pastarelle per festeggiare qualcosa – un compleanno, una promozione, un’auto nuova… Onorio non ricordava neanche più – ma il Coordinatore, che doveva essere venuto a saperlo, non attese che qualcuno gli rispondesse… «Sai che un tuo collega, uno di questo piano, ha appena ricevuto un premio?» aggiunse, fissando con un’ombra di canzonatura proprio Onorio, il quale gli restituì uno sguardo incuriosito.

«Sì, gli hanno dato il Nobel…» commentò il Confidente, con ironia stizzita e persino un po’ fatua.

«Stanno festeggiando, nella sua stanza…» aggiunse il Coordinatore «…dovresti andare anche tu a congratularti, non credi?». Il tono era tanto marcatamente mellifluo che a Onorio venne il sospetto che fosse tutta una presa in giro; d’altra parte, però, poteva anche esserci qualcosa di vero. Cosa intendeva il Coordinatore con “un tuo collega”? Non erano forse tutti colleghi, là dentro? Che si riferisse in particolare al titolo di studio? Oppure era un modo per sottolineare che lui sapeva qualcosa di cui gli altri erano all’oscuro? Considerate le diverse ipotesi, Onorio rinunciò ad accendere il computer e si alzò dalla sua postazione. Era meglio andare a verificare di persona, se non altro per togliersi il dubbio.

«E dove sarebbe, questa stanza?» chiese, avviandosi verso la porta. Il corridoio si allungava infatti in entrambe le direzioni, percorrendo l’intero edificio.

«Di là…» s’affrettò a rispondere il Confidente, indicando con un vago gesto verso destra «in fondo, dopo le scale…». Nel frattempo, il Coordinatore aveva preso possesso, un po’ scompostamente, di una postazione libera, aveva subito messo in funzione il computer e si era allentato la cravatta. Evidentemente, terminata la riunione, riteneva di potersi rilassare un po’. «Li vedi subito…» aggiunse, senza distogliere lo sguardo dallo schermo «c’è ancora parecchia gente…».

Onorio uscì dalla stanza e si avviò, senza troppa fretta, lungo il corridoio nella direzione indicata. Dopo qualche decina di passi gli capitò di incrociare Katrin, una collega piuttosto allampanata che, essendo vegetariana, era solita portarsi il pranzo da casa. Accennò un saluto con la mano, ma quella, continuando a camminare con sguardo trasognato, non diede alcun segno di averlo riconosciuto.

Proseguendo, dopo un paio di svolte a gomito, il corridoio si immetteva in uno slargo alquanto affollato; c’erano scale mobili che salivano e che scendevano, ed erano intasate di gente. A dire il vero, più che un ufficio sembrava un centro commerciale nell’ora di massima affluenza.

Intravedendo un corridoietto laterale, Onorio vi si infilò senza esitare, e poco dopo si trovò in un labirinto di salette comunicanti… non ricordava di essere mai stato in quell’ala dell’edificio. Si affacciò in una specie di salottino, dove una dozzina, fra uomini e donne, seduti attorno a un tavolo ovale, apparivano impegnati in un’accesa conversazione. Doveva trattarsi di una riunione di lavoro; tutti si zittirono voltandosi a guardarlo, come chiedendosi chi fosse. Onorio, sentendosi un intruso, arretrò subito, bofonchiando qualche parola per giustificarsi, e in corridoio quasi urtò contro una ragazza che vi stava passando di gran fretta. «Scusi, sa dov’è che…» iniziò a chiederle, ma quella, senza fermarsi: «Di qua, di qua, prego…», e gli fece segno di seguirla. Attraversarono una serie di stanzette, nell’ultima delle quali c’era un grande armadio a muro, come un guardaroba con una doppia fila di sportelli laccati color pastello che riempivano la parete fino al soffitto.

«Ecco, scelga pure…» disse, mentre lei stessa apriva uno sportello della fila bassa per deporvi qualcosa e prenderne qualcos’altro. Era piuttosto carina, e molto giovane; doveva essere al suo primo impiego. Distratto, Onorio allungò una mano verso uno sportello in alto, ma quello rimase ostinatamente chiuso. La ragazza gli sorrise: «Certo, ci vuole la chiavetta magica…» e gli mostrò uno di quegli affarini elettronici che si usano con i computer. Con grande destrezza lo inserì in una fessura praticamente invisibile sotto lo sportello e quello si aprì piano piano, senza produrre il minimo rumore. In alto erano appese giacche da uomo, ma variopinte, con colori vivaci disposti a rettangoli verticali sovrapposti su un fondo bianchissimo; sotto, invece, c’erano borse di varie dimensioni, alcune a tracolla, altre col manico, ma tutte decorate con lo stesso motivo a colori su fondo bianco. Onorio sganciò una giacca per osservarla meglio. Era decisamente kitsch, e sembrava di una taglia troppo piccola per lui, dovevano essere capi per ragazzi, così la rimise al suo posto.

«Non trova niente di suo gusto? Vediamo…» disse la ragazza mentre richiudeva lo sportello; poi, quando si girò nuovamente verso di lui, Onorio, con un’audacia di cui fu il primo a stupirsi, le cinse la vita con un braccio e l’avvicinò a sé. Lei gli appoggiò entrambe le mani sul petto, come intendesse respingerlo, ma non lo fece. Lo fissò invece con aria appena indispettita, o forse soltanto sorpresa, senza dire nulla, finché lui le appoggiò le labbra sulla bocca. Le sue erano morbide e vellutate, ma un po’ freddine. Onorio prolungò il bacio, cercando di infondervi il calore delle terre meridionali da cui proveniva, ma lei si limitò a lasciarlo fare.

«Avrò ben diritto a un premio di consolazione, no?» si giustificò lui infine, staccandosi. «Se qui non trova nulla che fa per Lei…» gli ribatté la giovane, tornando a sorridergli con professionale sollecitudine, come se nulla fosse accaduto, «può provare di nuovo nella stanza accanto», e senza attendere risposta gli fece strada, aprendo e superando una porticina ben dissimulata tra le ante del guardaroba. «Si ricordi, però: ha soltanto questa seconda chance!». Gli sportelli della nuova stanza sembravano in tutto identici a quelli della precedente. Onorio esitò, non trovando alcun motivo per sceglierne uno piuttosto che un altro. Si volse verso la ragazza, come se intendesse domandarle ancora qualcosa, invece le cinse di nuovo la vita e la strinse a sé.

«Le sembro forse un pacco regalo?» chiese lei, fingendosi colta alla sprovvista, ma con uno sguardo malizioso appena accennato. «Non ci staresti mica male – sai? – con un bel fiocco» ribatté lui, inopinatamente sicuro di sé. Poi la baciò una seconda volta, con tutto l’antico ardore di cui era capace, e questa volta ella rispose con discreta passione.

«Io lo so, cosa ci vuole per te» disse infine la ragazza, quando le loro labbra si furono separate. E Onorio non capì cosa fece, se lo toccò o meno, o se pronunciò altre parole, ma all’improvviso si ritrovò all’uscita, in mezzo al tumultuoso viavai della folla; era davanti all’ingresso di un grande magazzino, e un altoparlante ripeteva con voce insistente: «Oggi è il Black Friday, sconti straordinari fino alla chiusura, approfittatene!».

Onorio sollevò lo sguardo verso le insegne luminose, raddrizzò le spalle e la schiena come se avesse vent’anni di meno. Stiracchiò le gambe e le braccia, sentendole piene di un vigore del tutto insolito. Non si poteva dire che non ci sapesse fare, la fanciulla, pensò, meglio di una fisioterapista! Si guardò attorno: peccato non fosse ancora nei paraggi, le avrebbe volentieri scoccato un terzo bacio…

Osservò l’orologio, e si rese conto, con stupore, che era ormai tardi per rientrare in ufficio. Tanto valeva mettere alla prova la sua ritrovata giovinezza con una bella passeggiata fino a casa!

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